Da Premantura all’Ospo, un viaggio istriano senza bussola

histeriaSbagliando strada troverai l’Istria. Questa la morale autoconsolatoria che ricavai dal primo (e finora unico) viaggio cicloturistico della mia vita. Un’idea balenata per caso, nella noia di un’apatica giornata spesa a cuocersi sotto il Sole in quel di punta Salvore, ormai tre anni or sono. Si studiava come sopravvivere al ferragosto imminente e fu così che proposi a quella che sarebbe poi diventata la mia compagna un’audace pedalata lungo l’Istria, da Sud a Nord.

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Materada, di Fulvio Tomizza

L’esodo istriano raccontato molto meglio di un qualsiasi trattato storiografico o sociologico, mettendoci puro e semplice mestiere, quello che incastra frasi, fatti e vita con la saggezza dell’artigiano che non si cura della propria firma, ma solo che il lavoro sia fatto bene.
Narrativa senza fronzoli ma non stitica. Propaganda, nazionalismo, didascalie ideologiche sono lasciate il più possibile fuori dalla porta assieme alle altre cianfrusaglie ingombranti e poco trasportabili: il sentimentalismo un tanto al chilo, la retorica, l’ampollosità. La porta però è socchiusa quel tanto da far filtrare la vita, le passioni belle e brutte, l’odore dei campi arati. Bastano poche pennellate sapienti e anche quello che non viene detto e spiegato parlerà, lasciando intuire complessità e forse solo la finzione letteraria – quella d’alta classe si capisce – può renderne la grana. Una qualunque altra trattazione logica e razionale inevitabilmente “la stira”, compromettendone quelle merlettature e plissettature che sole riescono a restituirne la tridimensionalità, la sincronicità.
Materada scontenta tutti i coltivatori di frodo della memoria: gli jugonostalgici sicuramente a cui viene buttata in faccia tutta l’ignoranza e l’arroganza di quel regime (nei suoi primi anni perlomeno), le associazioni degli esuli a cui vengono reinfilate in bocca tutte le loro balle e mistificazioni, gli esegeti della memoria condivisa, che non trovano appigli per i loro intrallazzi squallidi. Scontentare tutti è un ottimo indizio di verità, la verità di un contadino almeno, con anche tutte le tare del suo mondo: la struttura patriarcale, l’impasto di promiscuità e devozione al campanile, il conservatorismo, la strisciante xenofobia, lo sfruttamento del proprietario sul colono e del colono sul “giornaliero”. Ma anche l’onestà, perché l’umanità prima che in buoni e cattivi, si divide in onesti e disonesti. E per essere un buon narratore basta essere onesti, che è la cosa più difficile. “Ci sono due razze di uomini e due modi di comandare e pretendere, e uno solo giusto e santo di rivoltarsi e alzare la testa”

Viaggio, fuga e contrabbando di contenuti attraverso il confine orientale, con ogni mezzo necessario